Mi hanno sempre detto che nella terza dimensione vengono recluse solo le persone tutte di un pezzo.

Gente valida, gente abbastanza abile da catturare altre persone che farebbero di tutto pur di non essere riportate qui.

D’accordo, so anche che chi passa dall’altra parte è facile che non torni più qui e, certo, la maggior parte non porta a termine più di una o due missioni; però, nonostante questo, devo dire che la prima cosa che ho provato quando mi hanno detto che sarei stato mandato nella terza dimensione, è stato orgoglio.

A sedici anni già dislocato nell’Area Nord, vi rendete conto?

Sono un grande.

Insomma, mia madre non l’ha presa così, ma per fortuna sua non ha avuto molto tempo per vedermi crescere.

E per fortuna mia invece, non gli sono passato tra le mani dopo la cattura…

 

Light Novel - Service's code - Chapter 01

Light Novel – Service’s code – Chapter 01

Il viaggio di trasporto verso Akrem, meglio conosciuta come Area Sud, è stato quello cui solitamente si sottopone una mucca che va al macello: un cassone di legno con quattro ruote storte e due finestrelle minuscole con le sbarre arrugginite.

La mia claustrofobia ringrazia.

Le manette sigillatorie già le avevo ai polsi, quindi non potevo far ricorso alla magia, quindi perché stiparmi in quel cassone?

Durante il viaggio ho rimuginato sul perché mi stessero condannando ad una pena così elevata; in fondo si trattava di furto, e la maggior parte della refurtiva era già stata recuperata.

L’unico a rimanerci secco era stato un mio amico (anche se non hanno ritrovato il cadavere e non hanno quindi nessuna prova) e avrò ripetuto sino alla noia che non è stata colpa mia.

Nemmeno avessi rubato agli Dei in persona…

Capisco tutto durante il processo.

Cioè adesso.

La voce del gran ciambellano che mi urla in faccia le mie colpe, mi fa gelare il sangue.

Probabilmente, se non fossi stato abbastanza abile da essere spedito nell’Area Nord, mi avrebbero condannato a morte, organizzando una gara di ballo sul mio cadavere.

****

E’ in questi momenti che un buon leader deve mantenere la calma.

La lucidità mentale è tutto.

Non puoi affrontare un problema se lo temi, se la tua mente è offuscata dalle catastrofiche conseguenze che questo potrebbe comportare.

No.

La lucidità mentale è il primo passo verso la risoluzione del problema.

Le probabilità che lo Iantor fosse sottratto erano effettivamente comprese in una percentuale irrisoria, ma non erano inesistenti. Lasciarsi prendere dal panico, adesso, è l’unica cosa che nessuno può permettersi.

Ripongo con calma i fogli della relazione raffazzonata che mi è stata sottoposta per il caso in questione, mentre si fanno strada nella mia mente le varie possibilità di evitare un disastro. Causali. Percentuali di riuscita.

Perdite.

Ci sono sempre delle perdite umane nelle missioni che mi affidano. Il mio compito non è evitarle. Il mio compito è arginarle al minimo e raggiungere l’obbiettivo prefissatomi.

Bisogna essere razionali, e abbastanza freddi da capire che per salvare cento persone non si può pensare di non immolare nessuno.

Non nel mio lavoro.

Riposta la stilografica nella mia borsa di pelle, alzo lo sguardo sui presenti alla riunione straordinaria. Mentre ancora discutono terrorizzati sulle conseguenze del furto, congiungo le mani e parlo, portando il silenzio nella sala.

Non ho mai avuto bisogno di alzare la voce perché mi ascoltassero.

Sanno che se parlo non spendo parole al vento: fornisco la soluzione ai loro problemi.

****

Sono passati sei mesi ormai, e nel tempo che ho passato qui, ho capito bene tre cose.

Salto verso destra, mi getto a terra e rotolo sul fianco fino a schermarmi dietro al muretto di cinta di un giardino pubblico. Schegge di mattone s’incastrano a terra e vicino al mio viso. Ricarico la Glock e attendo qualche secondo.

La prima è che armi e munizioni non mancano mai.

Prendo un bel respiro e mi getto fuori a sinistra. Rotolo sul prato, miro e sparo. L’obbiettivo viene colpito di nuovo, questa volta ad una gamba.

La seconda è che ce la dobbiamo vedere da noi.

La Confederazione ci considera solo delle pedine utilizzabili, senz’anima e facilmente rimpiazzabili. Ci considera per quello che siamo: la feccia della popolazione.

Barcolla. I ripetuti clic a vuoto verso di me mi fanno capire che ho vinto. Salto sul muretto e mi getto contro l’obbiettivo, ormai ferito e disarmato.

La terza è che non sono un assassino.

Con un secco colpo del calcio della pistola, il tizio contro cui stavo combattendo cade a terra, privo di sensi.

Mi chino su di lui e lo ammanetto.

Sospiro, mi rialzo, giro l’orologio da polso che mi hanno fornito, e che dell’orologio non ha nulla se non l’aspetto, e chiamo la squadra di pulizia.

Mi accendo una sigaretta e guardo il cielo buio della sera. Il clima è ancora caldo, siamo a metà settembre.

Pazientemente attendo che loro arrivino, constatino la buona riuscita della missione e mi diano il mio stramaledetto punto. Una volta fatto questo, il mio lavoro è finito e loro si occuperanno di nascondere tutte le possibili tracce di lotta che ho disseminato nei paraggi.

– Questa volta è stata una cosa facile direi. – mormoro al cielo buio.

Si forse c’è una quarta cosa che ho capito.

Sto andando di fuori. Davvero. Ormai capita spesso che parli da solo.

E quando parlo da solo significa che sono stanco di non avere nessuno con cui conversare.

Cioè, per l’amor del cielo, qualche amico me lo sono fatto, sono un tipo socievole io, però non posso parlare di chi sono, da dove vengo, cosa faccio.

Gli amici che ho qui non sanno chi sono, sono degli amici “farsa”. Gente con cui conversare del tempo, del rialzo dei prezzi… quella roba li.

Noi Alleati non possiamo comunicare con gli altri Alleati.

Ci dislocano apposta in modo tale da non farci incontrare tra noi. Gli obbiettivi che la Confederazione sceglie per noi sono sempre in posti differenti e raramente riusciamo ad incrociarci.

A volte dal telegiornale riesco ad intuire che vicino a dove ero io c’è stato un combattimento del mio stesso tipo, ma solo perché sono “del settore”. Gli esseri umani di questo mondo non sanno nulla e continuano a vivere tranquillamente grazie al lavoro di bonifica e copertura della Confederazione.

****

– Se le cose… fossero andate diversamente… –

Alza leggermente il capo, sorridendo in quel suo modo strano, insano, e malinconico. Mi fissa negli occhi. Le sue mani, dal collo, mi scivolano lentamente sul petto.

Ed io non riesco a muovermi. Sono immobilizzato da qualcosa che non vedo.

Il mio SPAS 12 è lì per terra vicino ai miei piedi, ed io non posso raggiungerlo. L’aria intorno a me si è addensata ad un livello tale che respiro appena, e gli arti non rispondono ai miei comandi.

Un dolore lancinante al petto.

Boccheggio senza fiato, in un attimo senza forza, la vista mi si annebbia di colpo…

Sento il sapore di ferro in bocca e il caldo di un rivolo di sangue che scorre sul mio mento, dalle mie labbra che non riescono ad urlare.

Riesco appena a vedere le sue mani giunte sul mio petto, mentre si allontanano lentamente. E scorgo la profonda ferita all’addome.

Mi libera di colpo, e così in un istante mi ritrovo a terra, in ginocchio, poi supino, le mani strette sulla ferita nel disperato tentativo di reprimere un dolore nemmeno descrivibile.

Lui mi guarda. Mi guarda a terra, con quegli occhi bianchi.

Poi, lentamente, si inginocchia al mio fianco.

Sento i miei denti digrignare, stringersi per il dolore. Sono rannicchiato su un fianco, a capo chino, nella polvere del parcheggio sterrato.

Appena la sua mano mi scosta i capelli dalla fronte, alzo il capo di scatto.

– NON MI TOCCARE!!! – Urlo con tutta la voce disponibile e l’odio che provo.

Lui rimane con la mano a pochi centimetri dalla mia fronte, sempre fissandomi.

– Tutto questo fa male a te quanto fa male a me – mormora.

– Mavaffanculo!! – E’ la mia risposta.

Scuote il capo – Tu non mi capisci… non l’hai mai fatto… – Scompare.

Ed io rimango qui.

Io rimango nella merda.

****

– E’ sicuro? Proprio qui? – Il tizio sembra esitare.

Sì, lo voglio proprio li, in faccia, sotto l’occhio, c’è qualcosa di male? Insomma, quando tornerò dall’altra parte i punti mi svaniranno quindi che male c’è se decido di farmene mettere uno proprio sotto l’occhio destro? Così fa pendant con quell’altro sotto l’occhio sinistro. Mi sta così bene…

Ogni tanto parlo e penso da gay, ma vi assicuro che non lo sono.

– Come vuole, la faccia è sua. – mi dice. E finalmente mi mette quella carabattola sulla guancia destra e mi imprime il punto per aver compiuto questa missione, recuperando il profugo di prima.

I punti non sono altro che dei tatuaggi. Delle picccole virgolette nere.

Non si possono contraffare, cancellare o spostare. Li hai sulla pelle e lì rimangono, fino a quando non finisci i punti che devi raccogliere. Solo allora te li tolgono e ti buttano di nuovo a casa nella seconda dimensione con un bel calcione.

Ho sentito dire che il Mito è rimasto qui, ma credo sia l’unico e suppongo che solo per lui abbiano fatto un eccezione.

Chi è il Mito?

E’ il più grande Alleato che la Confederazione abbia mai avuto.

Doveva raccogliere una pacconata di punti, ed ignoro cos’abbia fatto per meritarseli. Se li è raccolti tutti e poi ha deciso di vivere qui.

Saltuariamente aiuta di nuovo la Confederazione, ma è libero, e viene pagato come mercenario.

Se ti ritrovi davanti l’Eirdar e sei un profugo, non hai via di scampo.

Ignoro il vago confabulare degli agenti della Confederazione dietro di me mentre ripuliscono l’area. Mi abbasso per guardare il riflesso del mio viso sul finestrino di una macchina parcheggiata li vicino. Il piccolo tatuaggio a mezzaluna nero spicca nitido sotto il mio occhio destro. E sta benissimo, ve lo assicuro.

Questo è il mio trentesimo punto.

Devo raccoglierne ottocentoventitré.

Un record.

Sopratutto se si pensa che è per un furto.

Tenendo conto che per un omicidio ne appioppano cinquecento…

Certo non è da tutti rubare lo Iantor e darlo al peggior nemico della Confederazione. Solo io potevo riuscirci. E senza nemmeno saperlo, pensate un po’ come sono bravo.

****

Light Novel - Service's code - Chapter 01Il ticchettio delle mie scarpe di cuoio sul cemento armato dei sotterranei è assordante.

Un ticchettio netto, scandito, regolare e solitario nella notte ormai inoltrata.

Una frenata in lontananza. Il ticchettare del cuoio ed ora anche il tintinnio delle chiavi d’avviamento nelle mie mani.

E’ un istante, percepisco e mi volto di scatto.

Il taglio della mia mano si ferma ad un millimetro dalla sua gola, ancor prima che la mia borsa di pelle tocchi terra. Lui sorride, mani in tasca, sporco e malconcio. Sangue rappreso sul viso, un livido vistoso sulla fronte. Una vistosa ferita al’addome. Morde il filtro della sigaretta che ha fra i denti.

– Come diavolo hai superato la sorveglianza, Eirdar? –

Ghigna. – Se avessi voluto ucciderti saresti morto, lo sai? –

L’istinto di ogni essere vivente sarebbe stato quello di afferrarlo.

Io mi scosto.

E lui cade addosso alla portiera della Mercedes dietro di me. Poi scivola a terra, seduto.

– Te lo ha mai detto nessuno che sei proprio stronzo? – E’ l’ultima cosa che biascica prima di svenire per le ferite subite.

Lo fisso qualche istante, poi afferro il cellulare nella tasca della giacca, apro il frontalino con un gesto meccanico e indirizzo la chiamata predefinita per le emergenze mediche.

****

Quel punto è sotto il mio occhio da almeno mezz’ora, ma la squadra mi ha proibito di allontanarmi. Ed io ho sonno.

Sono svaccato sull’erba di questo parco pubblico e guardo il cielo scuro della notte.

Le stelle in questa dimensione sono molto più opache. Velate.

Smog, o inquinamento luminoso, non saprei.

Uno dei soldati della Confederazione mi si avvicina, sta parlando con la centrale tramite l’auricolare e quel microfono che spunta appena da dietro il suo orecchio destro. Mi fa un cenno e dice solo – Raggiungi il quartiere Generale della sezione Alfa. Il Generale Capo Shelv ti vuole a rapporto. –

Quel cognome fa sì che il nero dei punti spicchi più contrastato.

Perché sbianco.

****

Non riesco a muovere un muscolo, anzi, non percepisco nemmeno del tutto il mio corpo, ma giuro che appena riesco a trovare quel coso che continua a fare bip, lo fracasso lanciandolo giù dall’ultimo piano di qualsiasi palazzo in cui mi trovo ora.

Non so nemmeno dove sono, e non so se sono davvero vivo, ma è questo il mio primo pensiero.

Oltre a quel bip assordante percepisco delle voci, e decido di non aprire gli occhi.

Sono due quelli che sono con me in questa stanza.

Ok, ho inquadrato. Mi trovo in una stanza dell’ospedale della Confederazione. L’odore di ospedale è inconfondibile.

Alla fine quello stronzo di Shelv l’ha chiamato un medico e non mi ha lasciato morire sul cemento armato del suo garage.

Gli servo. Ghigno mentalmente.

A giudicare dalle voci e dalla discussione direi che sono due dei suoi tirapiedi.

– Condizioni stabili. Ce la farà anche questa volta.- Questo deve essere il capoccia dei due

– E’ l’Eirdar dopotutto. Ho perso il conto di quante volte lo abbiamo ricucito, sa? Questa volta deve avere beccato un profugo con le palle… – Il Pivello.

– Non è un profugo. –

– E chi diavolo può averlo conciato così? –

Sento sbuffare. – Non sono informazioni che posso divulgare. – Il rumore di qualcosa poggiato sul comodino di fianco a me – Vado a prendermi un caffè, tu tienilo d’occhio. –

Passi. Porta. Passi. Di nuovo la porta.

Andato.

Per un po’ non sento niente.

Poi il rumore di una sedia che viene trascinata vicino e qualcuno che si siede.

Quel qualcuno rimane silenzioso, ma lo percepisco, è nervoso.

Rumore vicino al mio orecchio, fogli. Un imprecazione bisbigliata. – E così il fratellino… –

Stringo il lenzuolo con la mano destra. Lui è alla mia sinistra e non se ne accorge.

– Porca miseria… E’ una scheggia impazzita… –

Bisbiglia. Conti, nomi di luoghi e persone.

Qualcosa dal corridoio. Rumore concitato di fogli e di nuovo sul comodino.

La porta. Passi.

Cerco di addormentarmi.

Per ora.

****

Lui è li seduto davanti a me.

Io sono in piedi di fronte a lui.

La scrivania ci divide, ma preferirei che fosse un muro spesso almeno una ventina di centimetri e lontano un chilometro.

E nell’altra dimensione.

Lui è Nakiri Shelv, Generale Capo della Confederazione. Il miglior stratega che esista sul pianeta.

Il mio, l’altro, non importa. Lui è il migliore. Il suo nome è leggenda, insieme a quello di Tears Eirdar. Solo che giocano su due campi differenti.

Uno in quello del cervello, l’altro in quello delle mani.

E io sono qui davanti a lui che me la faccio addosso.

E’ anche un quarto d’ora che me la sto facendo addosso eh… Evidentemente la sua buona educazione non è pari alle sue capacità di stratega bellico, perché non mi ha nemmeno chiesto di sedermi.

Il sonno è passato appena me lo hanno nominato, ma la stanchezza si sta facendo sentire nelle ossa e nei muscoli. So che quando mi rilasserò poi non riuscirò più ad alzarmi per una settimana da quanto sono teso.

Attendo.

Se Nakiri Shelv decide che devo essere fatto fuori, credo che ci vogliano circa due secondi, forse uno solo, perché dalla teoria si passi alla pratica.

Quindi attendo e non mi lamento.

Però sono curioso e non posso fare a meno di guardarmi in giro.

L’ufficio è enorme. Ci starebbero dentro comodamente tre o quattro di quei monolocali che la Confederazione dà ai suoi Alleati. E la scrivania a cui è seduto è composta da tanto vetro ed acciaio che ci si potrebbero costruire una serra di discrete dimensioni.

E’ tutto perfettamente in ordine. I pochi soprammobili e persino le carte sulla scrivania e le penne nei portapenne sono tutti in squadra, perfettamente in ordine ed allineati.

Morboso, quasi.

Quando poggia la stilografica sul pianale in vetro non me ne accorgo perché sto vagando con lo sguardo sull’enorme libreria alla mia destra.

Prende tutta la parete, questo significa che ci saranno tipo un milione di libri…

Mi accorgo che si aspetta attenzione quando chiude la cartelletta in pelle dentro cui stava scrivendo. Lo guardo e lui mi fissa.

Occhi grigi, caldi come il ghiaccio e incastonati in un viso perfetto dalla pelle mulatta.

Mi sono messo sull’attenti e non so nemmeno se lo percepirà come una presa in giro.

Mi fissa per qualche istante, poi intreccia le dita e parla.

La sua voce è bassa e vellutata. Ipnotica. Ma ferma e sicura.

Ho la netta sensazione che se mi dicesse di sgozzarmi col tagliacarte lì, davanti a lui, con quel tono, lo farei. Ringraziandolo anche per l’ottima idea che mi ha dato.

– Numero 156459 bis, lei è stato convocato all’improvviso per un motivo ben preciso. L’agente sul campo che abbiamo mandato a recuperare ciò che lei stesso a trafugato, ha qualche difficoltà nel portare a termine la missione. –

Numero 156459 bis.

L’ho sentito solo una volta, quando mi hanno catalogato come Alleato, alla base della Confederazione nella seconda dimensione, giù ad Akrem.

So di averlo impresso nel piccolo Hard disk che sta nel finto orologio di cui mi hanno dotato e ce l’ho tatuato sul collo insieme a quel piccolo codice a barre, ma non mi hanno mai chiamato così.

Ho un nome. Me l’ha dato la mia mamma, sa?

Ma non lo dico. Così mi conservo anche la seconda cosa che mi ha dato mia madre: la vita.

Come se intuisse i miei pensieri, riapre la cartelletta di pelle e si alza in piedi. Cammina parlandomi e leggendo dalla cartelletta.

– Zendaru Di Samirien. Età 17 anni. Piccoli precedenti per rapina con scasso. Disturbo della quiete pubblica e_ – fa una pausa, un sopracciglio gli guizza impercettibilmente – Atti osceni in luogo pubblico? – chiede.

Tossisco.

Vorrei dire che è una lunga storia, ma deglutisco i miei pensieri e scelgo il silenzio.

E’ sicuramente più decoroso che spiegare cosa è accaduto quella volta.

Il Generale lascia correre e prosegue, gettando di tanto in tanto uno sguardo a quei fogli.-Si è reso perlomeno conto di quello che ha combinato con il suo ultimo reato?- Mi chiede.

Rispondo.-Si Signore. E sono mortificato. Non immaginavo che quell’oggetto fosse davvero lo Iantor, insomma, era sorvegliato certo, ma non come credevo che dovesse esserlo, credevo che_-

Mi interrompe solo alzando una mano. Mi blocco come se con quel gesto mi avesse tagliato la gola.

E’ che mi faccio prendere dai discorsi io…

Mi fissa in silenzio ed io vorrei essere altrove, anche tra le fiamme dell’inferno, ma non li. Poi finalmente prosegue.

– Come dicevo, l’Alleato mandato per correggere i suoi danni, 156459 bis… –

Zendaru. Grazie.

– … ha qualche difficoltà nel portare a termine la missione. Il complice del suo furto è un ex-Alleato, che era stato destituito e privato dei suoi poteri tramite il sigillo di Sirmh. Ora, grazie al suo contributo, non solo è rientrato in possesso di tutti i suoi poteri aggirando il sigillo ed utilizzando lo Iantor direttamente, ma è riuscito a varcare la soglia dell’area sotto il controllo della Shield, e a ritornare qui con lo Iantor, lasciando tutto il nostro mondo, Zona Di Passaggio esclusa, senza magia… –

Si lo so, ho fatto una cazzata.

Si lo so, sono un coglione.

Quante volte devono ripetermelo che ho fatto uno dei danni più grandi nella storia di questo e dell’altro mondo?

Questo qui a quanto ne so, o meglio, a quanto mi hanno spiegato in seguito, e sottolineo in seguito, era qui a fare la raccolta punti.

Ad un certo punto gli ha dato di volta il cervello, e si è messo contro la Confederazione. Il mio Mito lo ha ripreso per i capelli e lo ha rispedito a casa nel secondo mondo.

Ad Akrem l’hanno processato e sigillato, in modo tale che non potesse accedere allo Iantor come tutti da sempre facciamo per usare la magia. Così lui è rimasto a secco ed incazzato. E non ha trovato di meglio che evadere e commissionarmi quel furto.

Una volta entrato in possesso dello Iantor, il sigillo che gli ha messo la Confederazione non serve più, perché può prelevare la sua dose di magia direttamente dallo Iantor, semplicemente toccandolo.

E sticazzi al sigillo di Sirmh.

Però, per aggravare il tutto, il signorino in questione ha deciso di fare il profugo ed è passato da questa parte. Trovandosi troppo lontano dal nostro mondo, lo Iantor è inutilizzabile per la mia gente, e la magia da noi ha smesso di funzionare senza il suo catalizzatore.

Risultato: Io rubo un fottutissimo oggettone pacchiano e tutto il mondo smette di usare la magia.

E non solo. Rischiamo anche che questo mondo si accorga, con in casa loro il nostro catalizzatore, che esiste la magia, ed inizi ad usarla al posto nostro, prosciugando l’ultima riserva di energia magica che ci è rimasta.

Che risiede nel loro mondo, anche se non lo sanno.

In effetti in tutto questo riassunto noialtri ci facciamo una brutta figura.

Si, fregavamo la loro energia magica. Ma insomma, il loro mondo ne era pieno e non sapevano nemmeno di averla, mentre il nostro ormai era a secco…

Intanto il Generale prosegue.

– Ora: tenendo conto che lei è qui da sei mesi e ha portato a compimento la sua trentesima missione in così breve tempo e, sopratutto, che è il fautore del danno a cui stiamo cercando di porre rimedio, ho una proposta da farle.- Si siede e mi fissa con un’aria da: “o accetti o ti renderò la vita un inferno e solo perché ci sono troppe scartoffie da riempire per darti direttamente in pasto a cani idrofobi”.-i restanti settecentonovantatré punti che le mancano per tornare un uomo libero, le saranno abbonati se porterà a termine un unica missione: aiutare l’Alleato di cui le stavo parlando prima. Una volta recuperato lo Iantor ed eliminato colui che lo ha ora in possesso, lei potrà tornare nel suo mondo come cittadino libero. –

Certo, se riesco a tornarci.

Quello adesso ha lo Iantor. E da quello che ho saputo era decisamente sgravato in quanto a poteri, ora che se li è ripresi tutti senza le restrizioni del bracciale che tutti gli Alleati devono portare qui, è come minimo tre volte più forte di me. Senza contare che era qui proprio per raccogliere una vagonata di punti per non so quale pluriomicidio…

Mi sta solo condannando a morte in un modo più contorto.

Mi fissa nel mio silenzio e capisce che non sono scemo, per quanto la mia fedina penale confermi l’opposto.

– Cerchi di riflettere, raccogliere settecentonovantatré punti, anche se significa recuperare profughi più semplici, è comunque un azzardo. Basta una distrazione ed anche il nemico meno potente è in grado di ucciderla. Qui avrebbe solo una possibilità di essere ucciso, non quasi ottocento. –

Mi sta stordendo con la statistica, ma io resisterò.

– Senza contare che non sarebbe solo. Il suo sarebbe solo un lavoro di supporto, dovrà co-operare con un agente molto più esperto di lei. Tears Eirdar è_ –

– Accetto. –

Le parole mi sono uscite prima che le pensassi. Così, di getto.

C’è rimasto male anche il Generale. Ma solo per poco. Sorride e si siede.

– Dunque accetta?-

– Si Signore. –

L’Eirdar.

Per gli Dèi.

Mi farei staccare una mano anche solo per poter raccontare di avergli allacciato una scarpa, figuriamoci avere la possibilità di combattere al suo fianco!

Hey, mi sto sempre cacando in mano, ma se devo morire, cazzo, lo farò al fianco del mio Mito.